Gioia nel cuore, sorriso sulle labbra

Qualsiasi cosa fosse accaduta non mi sarei mai arresa. Anche se avessi dovuto vivere il resto dei miei giorni su una sedia a rotelle

Questa storia è dedicata a te che stai leggendo, con grande umiltà, mi auguro ti aiuti a riscoprire quello che in cuor tuo sai già, ossia che bisogna trovare la forza per amare profondamente la Vita, sempre e comunque, soprattutto nei momenti di grande difficoltà fisica e psicologica, perché ti assicuro che ne vale sempre la pena!

Nel marzo del 1992 avevo 28 anni, un fidanzato da sposare a giugno dello stesso anno, un mutuo per una piccola casa e un bellissimo lavoro, conquistato dopo una lunga gavetta come grafica pubblicitaria in un'agenzia di pubblicità. Ma non tutto andò come previsto. A luglio del ’91 avevo iniziato ad avere un lieve dolore alla gamba destra, che andò aumentando gradualmente nei mesi; nessuno degli ortopedici che lavoravano nei migliori ospedali di Roma (la città dove vivo) capì qual’era la causa, fino a quando, a marzo del 1992, un medico dell’ospedale S. Giovanni mi fece fare una TAC, dalla quale si capì la gravità della malattia. Ci consigliò di andare agli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna (l’ospedale dal quale proviene il Prof. Biagini), dove, attraverso una biopsia, mi diagnosticarono un “Osteosarcoma Condroblastico di 4° grado al sacro-iliaco”, che aveva preso completamente l’emibacino destro: un tumore maligno del massimo grado di aggressività. Dopo due cicli di chemioterapia all’Ospedale Civile di Ravenna, sono tornata a Bologna per l’intervento, che durò 14 ore e al quale seguirono 5 giorni di terapia intensiva, un mese e mezzo di ricovero e poi altri 6 cicli di chemio a Ravenna. Tutto il percorso durò un anno circa.

Credo che il messaggio importante sia raccontarti “come” abbia vissuto tutto questo.

All’inizio non mi rendevo conto di che cosa stesse accadendo, ero stata catapultata dai preparativi per il matrimonio in un’altra realtà, di cui non conoscevo neanche l’esistenza. Mio fratello e mia sorella gestirono il tutto, cercando di non farmi capire la gravità di ciò che mi stava accadendo, ma la partenza frettolosa per Bologna mi rese chiara la situazione e così feci una promessa a mio fratello: gli dissi che non mi sarei mai arresa, avrei combattuto con le unghie e con i denti, anche se avessi dovuto vivere il resto dei miei giorni su una sedia a rotelle!

La prima volta che misi piede agli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna, nella mia mente c’era una grande confusione e tanta paura, io e mio fratello piombammo la mattina presto, senza alcun appuntamento, nell’immenso studio del primario, il prof. Campanacci, grande luminare nel campo dell’oncologia ortopedica, il quale, infastidito dal nostro comportamento, ci invitò ad uscire e noi, lasciando la TAC sul tavolo indietreggiammo, fuori dallo studio, chiedendo educatamente di dargli almeno un’occhiata. Ci sedemmo fuori in attesa e dopo un po’ uscì il professore che, mettendomi una mano sulla spalla, con un'espressione tenera e due luminosi occhi azzurri, mi disse: “Stia tranquilla, entri nel mio studio che il mio collega vi spiegherà cosa dovete fare” e andò via. Il suo collega era il dott. Piero Picci, oncologo e suo braccio destro, che mi accolse con un sorriso dolcissimo. Con tono di voce rassicurante mi spiegò quali erano le altre indagini diagnostiche da fare. Il suo volto, il suo modo di parlare, mi fecero avere subito una grande fiducia in lui che rasserenò il mio cuore, non solo in quel momento, ma per tutto il mio lungo percorso, anche quando entrò nella mia stanza per dirmi il risultato della biopsia e che dovevo fare la chemio a Ravenna.

Le prime persone che incrociai nei corridoi, il giorno del ricovero, furono dei bambini in sedia a rotelle, i quali avevano delle malformazioni fisiche che non avevo mai visto in vita mia. Ricordo benissimo quale fu il pensiero che invase la mia mente: “In qualsiasi modo andrà a finire la mia storia, sono stata fortunata! Fino a 28 anni ho avuto una vita normale: ho corso, ho ballato, ho fatto sport, sono andata a scuola, ho lavorato, mi sono divertita con gli amici! Loro invece non potranno mai fare tutto questo!”.

Ad ogni ricovero partivano tutti con me: mia madre, mio padre, mio fratello, mia sorella e il mio fidanzato, durante i ricoveri facevano la spola da Roma i miei cognati, i miei zii e tantissimi amici. Tutti loro sono stati la mia grande forza, insieme all’immenso amore di Dio, che non mi ha mai abbandonata!

Durante la chemioterapia caddero tutti i capelli, il ciclo mestruale sparì e persi un po’ di chili, però stavo bene con le mie compagne di stanza e con gli infermieri, che erano simpaticissimi.

Lo so che sembrerà strano a te che stai leggendo, ma ti assicuro che è così, ho un bel ricordo di quel periodo, anche nei piccoli episodi di "vita quotidiana"! Una volta, ad esempio, nella stanza entrò una zanzara grandissima e la mia vicina di letto le corse incontro, tenendole vicino una ciabatta, ma senza ucciderla. Allora le dissi: “Cosa aspetti a schiacciarla?” - e lei - “Dovrebbe morire solo con la puzza, perchè la ciabatta è la tua!”. E come avrei fatto a non ridere? Un’altra volta, costretta a letto per settimane dopo l’intervento, dissi alla caposala che mi ero stancata di vedere le pareti della stanza. E lei mi rispose: “Hai tante persone con te, fatti portare con il letto in giro per il corridoio!” La presi in parola e, nonostante l’incredulità dei miei familiari, dichiarai: “Portatemi subito a fare una bella passeggiata!”. Non mi sembrò vero di uscire da quella stanza, anche se con il letto, andava bene lo stesso!

Mentre ero ricoverata a Bologna, i miei familiari fermavano spesso il prof. Biagini, allora giovanissimo, per avere delle delucidazioni riguardo alla mia complicata situazione e lui, con estrema pazienza, chiariva loro ogni dubbio. Come anche la dott.ssa Tienghi all’ospedale di Ravenna e i suoi colleghi, sempre disponibili e dediti a informare i miei parenti e me! In quei momenti è fondamentale avere la disponibilità e cortesia di coloro nelle mani dei quali metti la tua vita! Qualche giorno prima dell’intervento venne nella mia stanza il dott. Gherlinzoni che accennò con molto tatto alla pericolosità di quello che andavo ad affrontare, senza entrare nello specifico. Più tardi i dottori del reparto chiamarono me e la mia famiglia nel loro studio e ci spiegarono i rischi ai quali andavo incontro; potevo rimanere con il catetere a vita, potevo rimanere paralizzata e, nella peggiore delle ipotesi, potevo morire. Dovevano togliermi la metà del bacino che era stata totalmente presa dal tumore, compresa la parte finale della colonna vertebrale, di conseguenza dovevano amputare la gamba. C’era una meravigliosa assistente sociale, Anna Antenucci, che mi fece vedere le foto di persone che portavano la protesi e avevano una buona qualità di vita. Dopo qualche istante, in cui la mia mente era invasa da pensieri negativi e nello stomaco c’era il vuoto totale, cercai a tutti i costi un pensiero positivo e chiesi: “Se andrà tutto bene, potrò lo stesso avere figli?” - e loro mi dissero: “Certo!”

Fui operata l’8 giugno del 1992, due giorni prima, il 6 giugno, mi sarei dovuta sposare.

Il giorno precedente all'intervento volli fare l’ultima corsa della mia vita, in un corridoio lungo che portava al bar dell’ospedale, sotto gli sguardi atterriti dei miei familiari che avevano paura di una frattura. Però che bella sensazione! La notte prima dell’intervento permisero al mio fidanzato di dormire accanto a me, sulla sdraio, mi parlò di tutti i progetti che dovevamo realizzare insieme, mi disse che dovevo concentrarmi solo su quelli e così feci. Dopo aver affidato tutte le mie pene a Dio, dormii tutta la notte, rifiutando il valium che l’infermiere mi era venuto a portare.

Tanti di noi credono in Dio, ma pochi si affidano a Lui completamente, invece, così facendo, la pace che si riesce ad avere interiormente, ti assicuro, mio lettore, è immensa, infatti la mia preghiera di quella notte fu: “Sia fatta la Tua volontà”.

Tu che stai leggendo queste pagine, potresti essere ateo, perciò ti voglio dire che ho un grande rispetto per chi lo è, perché sono convinta che è il cuore delle persone che manda avanti il mondo: l’amore e il rispetto del prossimo sono i valori più grandi! La mia migliore amica è atea ed è una gran donna!

Finalmente, a novembre finì la chemioterapia, mi ricoverai per un mese al Centro Protesi dell’INAIL di Vigorso di Budrio, a 15 km da Bologna e imparai a camminare con la protesi, inizialmente aiutandomi con le stampelle. La prima volta che andai in palestra stetti ferma fra le parallele con l’arto artificiale addosso, ma sembrava più un ingombro che qualcosa di utile! Non fu facile capire come funzionava: la sensazione era stranissima, mi ricordo che ad un certo punto alzai gli occhi e guardando tutte le persone che, come me, stavano “imparando nuovamente a camminare” pensai: “Ma che ci faccio qui? Come ci sono finita in questo posto?” Come se solo allora, all’improvviso, avessi preso coscienza di quello che mi era successo nell’ultimo anno! Fu un momento di disorientamento che superai grazie ai ragazzi che, insieme a me, stavano percorrendo quella strada per la prima volta, chi a causa di un incidente e chi a causa di una malattia. Ci facemmo forza a vicenda condividendo ansie, paure, difficoltà mentali e fisiche. Devo al responsabile della palestra, Claudio Panizzi, il fatto di aver avuto il coraggio di camminare per la strada senza usare le stampelle, perché ogni volta che mi incontrava nei corridoi con le stampelle, mi sgridava in una maniera indescrivibile!

Tornata a Roma, cambiai i comandi della macchina per guidare con la gamba sinistra e ricominciai i preparativi per il matrimonio, nel frattempo lasciai il lavoro e andai in pensione...

Cominciarono a crescere i capelli e, per il 5 giugno del '93, data del mio matrimonio, riuscii a sposarmi senza parrucca. Una cosa cui tengo a raccontarti, mio attento lettore, è che mi sono sposata in un paesino semi-abbandonato dell’Abruzzo a 200 km da Roma, in una chiesetta mezza diroccata, che si è costretti a raggiungere tramite una salita ripidissima a piedi, su delle pietre tutt’altro che agevoli. Mio padre mi reggeva da una parte, dall’altra un mio amico, davanti c’era mia sorella che mi teneva il larghissimo vestito alzato per agevolare il passo: è stato acrobatico ma divertente! Era fra i nostri sogni sposarci lì, non potevamo rinunciare! Inoltre, la casa in cui andammo ad abitare era al terzo piano senza ascensore e ci restammo per sette anni, dopo di che ne prendemmo una con l’ascensore.

Ma non è finita qui: dopo una decina di anni mi venne un tumore maligno al seno sinistro e subii una mastectomia, l’anno dopo ne ebbi un altro al seno destro e feci un’altra mastectomia. A settembre del 2003 feci la ricostruzione plastica di ambedue i seni, anche quella volta andò tutto bene! Devo ammettere che, a quasi 40 anni, avere due bei seni taglia 4a, quando prima avevo una 3a, che stava pure iniziando ad essere cadente, non è stato proprio male!

A 40 anni d'età mi dissi: “Se non approfitto, tra un tumore e l’altro, ad avere un bambino, va a finire che divento vecchia e non lo faccio più!”. Il prof. Biagini mi spiegò che, avendo avuto tre tumori, con una gravidanza ci sarebbe stato il rischio di poter sviluppare un tumore latente, che potevo avere da qualche parte senza saperlo. La mia decisione fu irremovibile e serena: non avrei voluto, in seguito, rammaricarmi di non aver tentato! Preferivo rischiare che rinunciare! Ci misi un bel po’ a convincere mio marito, ma alla fine ci riuscii! Così misi nelle mani di Dio la mia vita e quella del mio bambino, vissi i mesi della gravidanza con una celestiale serenità, in qualunque modo sarebbe andata, ero pronta ad accettarlo e ad affrontarlo. Ad agosto del 2004, alla veneranda età di 40 anni e mezzo, ebbi il figlio che tanto avevo desiderato! Il miracolo della vita che si rinnova e, davanti all’incredulità di tantissime persone, da questo bruco nacque una meravigliosa farfalla! A causa della gravidanza mi venne un tumore maligno ad una palpebra, come previsto dal prof. Biagini, ma con un piccolo intervento chirurgico tutto si risolse, perché non aveva ancora sparato metastasi.

La prima volta che andai al mare non fu facile, devo a mia sorella il fatto di aver trovato il coraggio!

Quando indosso il due pezzi, infatti, le persone non possono fare a meno di guardarmi, ma io sono serena, perché credo fermamente che, nella vita, a meno che non si rubi o non si uccida, non bisogna vergognarsi di niente! I più teneri sono i bambini, che si avvicinano e cominciano a guardare sotto il mio busto per cercare la gamba. Sono meravigliosi, dopo che spiego loro il perché della gamba che non c’è e che ne ho una finta, lasciata in albergo, sono sereni e tornano a giocare. Ai bambini basta dire la verità e dare una spiegazione logica, anche se strana, diventa normale: non hanno i preconcetti di noi adulti. Mi ricordo di un bambino che la sera mi vide sul lungo mare a fare una passeggiata con la protesi e urlò da lontano contento “Guarda mamma, quella signora ha detto la verità, si è messa veramente l'altra gamba!”. La mamma sarebbe voluta sparire dalla vergogna, mentre io con un largo sorriso, la tranquillizzai, anzi quell'incontro mi fece piacere!

L’ultima cosa che ti voglio dire, caro e paziente lettore, è che io vivo con la gioia nel cuore e il sorriso sulle labbra perchè la vita non è fatta di gambe, di braccia o di seni, ma è fatta di amore. Si può donare e ricevere amore in qualsiasi condizione fisica e sicuramente tanta gente che non ce l’ha fatta avrebbe dato chissà che per essere al mio posto, senza una gamba e senza due seni, ma viva!

Credo che la morte sia degna di rispetto ancora più della vita e, finché siamo su questa terra, dobbiamo lottare sempre, con tutte le nostre forze, per affrontare qualsiasi problema si presenti sul nostro cammino. Se così non facessimo, mancheremmo di rispetto verso chi non c’è più e quindi non ha più la possibilità di lottare!

Il mio lungo e impervio percorso mi ha insegnato ad apprezzare le cose semplici della vita, che sono le uniche che hanno veramente valore, quelle quotidiane che ognuno di noi dà per scontate, come il semplice alzarsi dal letto. Mi ricordo che, dopo mesi sdraiata a letto, la prima volta che mi alzai dissi “Che bella sensazione! Stare in piedi è fra le cose più belle che esistono al mondo!”.

Il mio augurio per te, per la tua famiglia e per i tuoi amici è di unire tutte le vostre forze e combattere a testa alta questa battaglia difficile, ma NON impossibile da vincere!

Con amore, Monica

 

Pensai che era arrivato il momento di una gravidanza, anche con il rischio di sviluppare un tumore latente. Ad agosto del 2004 è nato il figlio che avevo tanto desiderato, Emiliano, 

come ha deciso mio marito, in onore della regione dove era nato e che a me aveva salvato la vita.