In quel preciso momento è successo quel che io definisco una "rapina a mano armata": vengo rapinata della mia vita in cambio di una che non conosco, non mi appartiene, che non so vivere e soprattutto che non voglio vivere.
Mi chiamo Maria Luisa, ho 49 anni e fino a 6 anni fa avevo una vita normale. Un lavoro che mi piaceva, che cercavo di svolgere con dedizione, umiltà e passione; un marito e due figlie, Letizia e Silvia, che oggi hanno 24 e 19 anni, ragazze meravigliose di cui sono fiera e orgogliosa; inoltre tanti amici; una bella casa. Non mi fermavo mai, ero sempre di corsa per poter far fronte alle esigenze di tutti, trascurando a volte le mie, ma non era un problema!
La mia storia inizia nell'agosto del 2008; mentre mi recavo al lavoro ebbi un incidente con la macchina: nulla di grave per me, la mia macchina invece non può più raccontarlo. Dopo una quindicina di giorni ho iniziato ad avere dei dolori e un rigonfiamento all'osso sacro che, giorno dopo giorno, diventava sempre più doloroso e sempre più grande, fino a che provavo delle difficoltà nel sedermi. Dopo un'infinità di visite e di accertamenti, ad ottobre mi ricovero all’ospedale di Città della Pieve. Vengo operata e mi asportano una massa circolare di circa 11 cm definita, dopo l'esame istologico "condroma" cioè tumore benigno che non necessitava di nessuna terapia. Felice di potermi di nuovo sedere, continuo la mia vita di sempre.
Verso settembre 2009 noto una piccola "pallina" nel punto in cui mi ero operata; anche se da me segnalata, la cosa non viene presa sul serio dai medici, che mi visitano e che definiscono la pallina una conseguenza dell'intervento. La "pallina", però, cresce e con lei anche i miei dolori. Di nuovo visite, accertamenti finché approdo all’Ospedale S. Camillo di Roma, dove vengo visitata da un ortopedico. Mentre controlla gli esami, non so il perché, io ho cominciato a provare delle emozioni contrastanti: paura, speranza, ma anche gioia. Gioia per aver finalmente trovato la causa di tutti quei dolori. Il dottore fa accomodare me e mio marito con tranquillità e con determinazione inizia a parlare e a poco a poco la gioia lascia il posto alla paura. Finché pronuncia la parola che nessuno vorrebbe mai ascoltare: "Penso che sia un tumore maligno, un condrosarcoma sacrale". L’ortopedico, poi, mi indirizzò dal prof. Biagini, indicandolo come il migliore esperto in questo campo.
La speranza cominciò "a perdere i colpi" nella mia mente e i volti delle mie figlie presero forma. Pensieri contrastanti mi assediavano e le lacrime cominciarono a scendere prima lentamente poi sempre più copiose. Una visita all’Ospedale Regina Elena con il dottor Favale conferma la diagnosi: "condrosarcoma sacrale".
Silenzio assoluto, guardo mia figlia, la più piccola: il suo volto diventa bianco all'improvviso, mi si stringe il cuore! In quel preciso momento è successo quel che io definisco una "rapina a mano armata": vengo rapinata della mia vita in cambio di una che non conosco, non mi appartiene, che non so vivere e soprattutto che non voglio vivere. Una girandola di emozioni, incredulità, sorrisi, lacrime, ma poi penso a loro, alle mie bimbe, che hanno bisogno di me e io di loro che mi danno la forza per affrontare questa maledetta avventura. Faccio la PET, chiamo il professore, che mi chiede di andarlo a trovare. Mi porta a conoscenza di una lesione alla D12 e mi manda a Modena a fare la biopsia: risultato osteosarcoma!!!
La mia mente naviga in cielo, come una mongolfiera, tutto intorno a me gira, gira per giorni interi; di nascosto piango fino ad esaurire le lacrime. Ricapitoliamo, sono andata al Regina Elena per un condrosarcoma sacrale, un tumore raro e che succede??? Mi ritrovo anche un osteosarcoma vertebrale, altrettanto raro! Il prof. Biagini pensa che la combinazione dei due non si è mai verificata; un segno che la mia vita è giunta al traguardo? Tante domande, ma anche paura delle risposte. Non so che pensare, se non a loro alle mie pargole!!! Il terrore che potrebbero vivere senza la loro mamma mi assale e man mano nella mia mente fa breccia l'ipotesi di voler lasciare tutto così, di non operarmi, di vivere quel che mi rimane e di uscire di scena, quando sarebbe arrivata la mia ora. Questo, però, significava arrendersi, perdere un incontro senza giocare, senza lottare per la cosa più grande che esista "l'amore materno": che insegnamento avrei dato alle mie figlie? Era ora di tirar fuori le unghie e aggrapparsi a tutto, anche agli specchi se necessario!
A fine settembre mi ricovero e dopo una ventina di giorni mi opero; il professore ha deciso di intervenire prima sul mostro che abita nella colonna, di sostituire la D12 e fare una "stabilizzazione" in titanio. Le mie preoccupazioni e i miei pensieri sono sempre per loro, per Letizia e per Silvia. I rischi e le conseguenze sono molteplici, ma uno prevale su tutti, il rischio della mia vita!
La mattina dell'intervento ho guardate, le mie figlie e ho cercato di imprimere nella mia mente i loro volti spaventati, ma pieni di speranza e amore. Non potevo deluderle!! L'intervento, durato circa 18 ore, è riuscito, con alcune importanti conseguenze, ma riuscito. Inizia una lunga degenza ospedaliera; eravamo al 20 ottobre! Il secondo intervento, programmato per fine gennaio, consisteva nell'asportazione dell'osso sacro, S3, S4, e S5, dove passano numerose terminazioni nervose: le conseguenze saranno, poi, molteplici, la mia vescica non avrebbe più ricevuto lo stimolo, avrei avuto problemi per evacuare ecc...
La paura fa breccia di nuovo non voglio operarmi, non voglio sfidare il destino, mi sono salvata una volta perché ritentare la sorte? Non voglio vivere su una sedia a rotelle e chissà che altro. Ed ecco che gli occhi fiduciosi di Letizia e di Silvia colmano di nuovo la mia mente: devo farlo per loro, devo lottare, hanno bisogno di me e io di loro, sono la mia voglia di vivere, la mia forza, il mio tutto!
Mi opero, l’intervento dura circa 12 ore; mi sveglio e intorno a me tutto è offuscato, solo una cosa è nitida: "Sono viva". Tra ospedale e clinica riabilitativa trascorro circa un anno; torno a casa e inizio un nuovo capitolo della mia vita: sedia a rotelle, poca autonomia nel camminare, catetere, difficoltà nei movimenti e nello svolgere le azioni quotidiane (lavarmi, cucinare ecc), ho bisogno di assistenza. Però??? Però sono viva! Vedo le mie figlie crescere tra mille problemi; cerco di essere loro utile, di supportarle nelle decisioni che devono prendere, cerco di dare loro la certezza che, malgrado tutto, io per loro ci sono e ci sarò sempre. A novembre dopo circa 2 mesi dal mio ritorno a casa, mio marito, dopo 23 anni di matrimonio, ha deciso di andarsene: me l'aspettavo. La separazione, per vari motivi, non è amichevole, come speravo e volevo; si è trasformata in una guerra lunga e dolorosa, ma questa è un altra storia!
Verso febbraio di quest'anno (siamo arrivati nel 2014), inizio ad avere dei dolori diversi da quelli che ho normalmente e che riesco a gestire: sono molto forti, coinvolgono tutta la schiena e le gambe, gli antidolorifici li attenuano solo leggermente. Un rigonfiamento, inoltre, fa capolino sulla schiena; inizio con gli accertamenti, ma il rigonfiamento e i dolori aumentano. Faccio la RMN a marzo, il panico, nell'attesa della risposta, è l'unica cosa che regna dentro di me. Il prof. Biagini guarda la RMN e la mia schiena: si è rotta la stabilizzazione esterna che deve essere sostituita. Tutte le cellule del mio corpo iniziano a fare le capriole dalla gioia, certo dovrò affrontare un altro intervento, ma questa volta non devo lottare con il mostro cancro!!! Ad aprile faccio l'intervento con tutte le complicazioni del caso e anche qualcosina in più.
Questa avventura non l'ho vissuta da sola, le mie figlie, la mia amica-sorella Stefania, i miei amici (non pensavo di averne così tanti!), le mie colleghe e i colleghi, che hanno avuto ed hanno un ruolo importantissimo nel sostenermi sempre e in qualunque modo, i parenti, tutti mi hanno fatto sentire amata come non mai e mi hanno donato la forza per affrontare l’intera la strada che ho percorso.
Per quel che riguarda il prof. Biagini e la sua équipe, loro sono la prova e l'esempio che, con la passione e l'umiltà, l’eccellenza nel mondo della sanità esiste. Non sono da meno gli infermieri, cortesi, simpatici e professionali, che alleviano le giornate di degenza e ti fanno vivere questa brutta esperienza con un altro spirito: un sorriso fa la differenza e loro ne hanno da vendere!
Che dire di Monica e di questa meravigliosa associazione? Le esperienze di questi ex pazienti ti aiutano a superare i momenti grigi. Loro ci sono passati e sanno quello che uno prova; la serenità, che hanno, quando parlano, ti rapisce completamente, ti fa riflettere, riflessioni che fanno bene alla mente e al cuore. A settembre dovrò sostituire la stabilizzazione interna, ma non fa niente: l'importante è che il mostro non si ripresenti. L'ultima sensazione che mi piacerebbe condividere con voi è la seguente: la mia speranza, visto che ho avuto due mostri diversi, è quella di averli tolti a qualche bambino sparso nel mondo. È giugno, sto scrivendo la mia storia nella speranza che possa essere di aiuto a chi la leggerà…..
Grazie a Rukije Un Raggio di Sole Onlus per l'opportunità che mi ha dato.